Il maestro interiore

Questo brano chiarisce il ruolo limitato ma importante del linguaggio rispetto alle conoscenze delle verità.


Agostino – Ma sull’utilità delle parole in generale, che, a ben considerarla, non è piccola, indagheremo un’altra volta, se Dio lo permette. Per ora, ti ho già invitato a non concederle più di quanto sia opportuno, perché non solo si creda, ormai, ma si cominci anche a capire la verità di ciò che è stato scritto per sollecitazione divina, che non dobbiamo chiamare nessuno maestro sulla terra, perché l’unico maestro di tutti è nei cieli. Che cosa voglia dire poi “nei cieli”, ce lo insegnerà egli stesso, dal quale siamo invitati attraverso gli uomini, con dei segni anche esteriori, a farci ammaestrare tornando interiormente a lui. Amarlo e conoscerlo è la vita beata, che tutti gridano di cercare, ma pochi sono quelli che si rallegrano di avere veramente trovato. E ora vorrei che tu mi dicessi che cosa pensi di tutto il mio discorso. Se sai che le cose dette sono vere, ricevendo domande sulle mie singole afermazioni, avresti potuto dire di saperle. Vedi dunque da chi le hai imparate: non da me, perché avresti risposto a tutte le mie domande. Se invece non sai che sono vere, non abbiamo insegnato né io né lui: io perché non sono mai in grado di insegnare, lui perché tu non sei ancora in grado di imparare.

Adeodato – Io invece ho imparato, dall’invito delle tue parole, che l’uomo con le parole è solo sollecitato a imparare e che è molto poco ciò che del pensiero di chi parla appare tramite il linguaggio: se poi si dicano cose vere, lo insegna solo colui che, mentre parlava esteriormente, ci ha ricordato che abita nell’interiorità. Con il suo aiuto, lo amerò tanto più ardentemente quanto progredirò nell’imparare. Tuttavia ti ringrazio per questo discorso che hai tenuto senza interruzione, soprattutto perché ha prevenuto e dissolto tutte le obiezioni che ero pronto a farti. 

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